The Society Magazine – Decrypting Tomorrow #5
L’ascesa del Venture Capital come asset class


 
di Gaia Giorgio Fedi
14 Settembre, 2022

I numeri indicano un interesse senza precedenti per il settore, che ha vissuto un 2021 da record, anche in Italia. Merito di una serie di fattori strutturali favorevoli, cui si aggiunge un interesse crescente da parte di una platea più ampia di investitori

Se c’è una lezione da apprendere dietro lo straordinario boom della Silicon Valley, dagli anni ’70 in poi, è che un ecosistema dell’innovazione per prosperare ha bisogno di un intreccio tra fattori culturali ed economici, e di comuni vedute tra investitori, imprenditori, accademia e istituzioni. In questo senso, l’ascesa del Venture Capital come vera e propria asset class non può che essere una buona notizia: oggi che gli investimenti in capitale di rischio nelle start-up innovative non sono più considerati una nicchia per pochi “capitali coraggiosi”, ma anche una forma di diversificazione di portafoglio per una platea più ampia di investitori, si realizza una delle condizioni che permette il progresso di idee innovative e la loro trasformazione in realtà imprenditoriali di successo. In questo momento, infatti, è in atto una sorta di “democratizzazione” degli investimenti sui mercati privati (non solo Venture Capital – va detto –  ma anche Private Equity, Private Debt, infrastrutture eccetera). Il trend è partito prima con una crescente esposizione sui private market dei portafogli degli istituzionali, alla ricerca di rendimenti difficilmente reperibili nel contesto a tassi zero degli ultimi anni, e poi si è allargato anche ai portafogli dei privati. Parallelamente alla maggiore domanda degli investitori e ai minori costi di finanziamento, è cresciuto anche il bisogno di fondi da parte di un numero sempre maggiore di realtà innovative, grazie al potente trend secolare della digitalizzazione dell’economia, che ha completamente ridefinito stili di vita e modelli di business. Non a caso, il 2021 è stato un anno da record per il Venture Capital, che ha visto raddoppiare gli investimenti a livello globale. Anche in Italia, dove il settore fino a qualche anno fa aveva patito un certo nanismo, lo scorso anno è stato eccezionale, con investimenti per la prima volta al di sopra del miliardo di euro. Merito anche di un maggiore riconoscimento da parte delle istituzioni, che negli ultimi anni hanno creato un contesto maggiormente favorevole all’ecosistema dell’innovazione, sia con interventi normativi sia con investimenti e iniziative da parte di soggetti pubblici.

I risultati si vedono: anche il primo trimestre del 2022 – che altrove ha visto un rallentamento a causa delle incertezze legate al conflitto in Ucraina – ha evidenziato un ulteriore progresso del Venture Capital in Italia, con un totale di 54 round di finanziamento, e 420 milioni di euro investiti, in crescita del 35% rispetto ai 311 milioni dei primi tre mesi dell’anno precedente, secondo i dati del primo Osservatorio sul Venture Capital in Italia, realizzato da Cross Border Growth Capital in collaborazione con Italian Tech Alliance.

L’Italia s’è desta

I numeri raggiunti rappresentano «una soglia importante per iniziare a “giocare” nel campionato del resto dei Paesi europei con un ecosistema per le start-up più sviluppato», osserva Maria Ameli, Responsabile Equity Private Markets di Banca Generali. Con 334 operazioni, il 2021 si è chiuso con investimenti in start-up per 1,243 miliardi di euro, in crescita del 118% rispetto ai 569 milioni di euro del 2020. E i round con investimento superiore ai 20 milioni di euro sono più che raddoppiati rispetto all’anno precedente. «Certo, i numeri italiani sono ancora lontani dalle best practices europee come la Germania, che nel 2021 ha registrato investimenti complessivi in Venture Capital in crescita a tripla cifra, passando da 4,5 miliardi di euro a 16,2 miliardi di euro. Vediamo comunque segnali incoraggianti per un’ulteriore fase di crescita e di maturità del sistema», aggiunge Ameli.

Il punto, prosegue l’esperta, è che in molte economie europee la crescita degli investimenti in innovazione attraverso start-up sta avvenendo rispetto a ritmi superiori a quelli osservati in Italia, grazie a una più ampia disponibilità di risorse, non solo di provenienza pubblica, e un sistema di infrastrutture e servizi più capillare. Adesso, però, qualcosa si muove anche in Italia. «Diverse iniziative, anche connesse al Pnrr, perseguono obiettivi che possono consentire al Venture Capital di raggiungere un nuovo livello. Il mercato italiano ha evidenziato un incremento notevole del numero di operazioni delle società in fase pre-seed/seed, dai 53 del 2020 ai 233 deal del 2021. Notevole anche l’incremento di round in fase late Venture Capital e growth equity che superano di gran lunga la media storica e testimoniano una significativa maturazione delle start-up», argomenta Ameli. Aggiungendo che «il nostro Paese si trova davanti all’impellente necessità di promuovere l’imprenditorialità giovanile, che è l’unico strumento per includere le nuove generazioni nel mondo economico e lavorativo generando nuovo valore».

Del resto, anche il contesto internazionale appare incoraggiante: basta pensare alle molte operazioni a tripla cifra viste in questi ultimi anni negli Stati Uniti e in Europa. «Personalmente, ritengo che queste debbano rappresentare un ulteriore stimolo alla crescita anche in Italia», afferma Ameli.

L’interesse degli investitori

Come già accennato, un ecosistema per definizione è un ambiente in cui c’è un’unità di vedute e interessi: quindi, parallelamente alla crescita degli investimenti e al maggiore supporto istituzionale, il Venture Capital sta riscuotendo interesse crescente anche da parte di investitori che un tempo non si sarebbero avvicinati a questa asset class.

«Il Venture Capital rappresenta una forma di investimento di grande attrattività», commenta Gianluca La Calce, responsabile Marketing e Sviluppo Offerta di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking. «La focalizzazione su aziende, spesso innovative, in uno stadio di sviluppo ancora iniziale o, quantomeno, non ancora maturo, ha un fascino forte sull’investitore accompagnandosi all’aspettativa di potere partecipare alla fase di massima crescita e rendimento. Le stesse ragioni che rendono attraente l’asset class sono quelle che invitano, chiaramente, alla cautela per il maggiore rischio insito nell’investimento», aggiunge La Calce.

Gli esperti fanno notare che forme di investimento come il Venture Capital rappresentano una condizione win-win: sia per lo sviluppo di mercati più maturi, con un maggior numero di investitori che hanno accesso a formule alternative e a una maggiore diversificazione delle fonti di rendimento; sia per un maggior numero di risorse da destinare a imprese promettenti e innovative, e all’effetto di circolo virtuoso che si viene a creare quando un numero crescente di aziende riesce ad avere successo. Già, perché se un certo numero di realtà innovative riescono ad affermarsi sul mercato, si crea un prezioso network di competenze, i founder saranno spinti a creare nuove società o mettere a disposizione di nuove start-up capitali e competenze, e altri potenziali fondatori saranno invogliati a mettersi alla prova, mentre le aziende già consolidate potranno accedere a innovazioni e idee dirompenti investendo nelle realtà emergenti, con tempi e modalità spesso più efficienti rispetto a soluzioni sviluppate “in casa”.

Dal punto di vista dell’investitore, spiega La Calce, gli aspetti interessanti sono due. «Il primo è quello di rappresentare un complemento, in termini di driver di generazione di valore, a forme di investimento che si rivolgono, sempre nei private market, verso aziende in una fase di sviluppo più avanzata; la seconda ragione è di natura commerciale, proprio per l’intrinseca attrattività agli occhi di un investitore sensibile all’idea di partecipare, pur senza perdere i benefici della diversificazione, a iniziative imprenditoriali sino da un early stage». Certo, il Venture Capital resta un tipo di investimento con un fattore di rischio ben diverso rispetto all’esposizione a strumenti tradizionali sui mercati quotati. Pertanto, aggiunge La Calce, « l’investitore target deve avere comunque già maturato un buon livello di esperienza di investimento nei private market e deve avere consapevolezza dei rischi intrinseci nell’asset class. Sono investimenti rivolti in maggioranza a investitori professionali o, comunque, dotati di una ricchezza rilevante e assistiti da consulenti capaci».

Per gli investitori finanziari, sia professionali sia retail, Ameli sottolinea che oltre al vantaggio di esporsi su strumenti decorrelati dai mercati (e quindi evitare la volatilità in fasi di turbolenza) e sfruttare il premio di illiquidità per intercettare rendimenti mediamente superiori, investire in Venture Capital offre anche «un beneficio “morale” che interessa sempre più persone e che è dato dal fatto di contribuire in maniera attiva al rilancio del tessuto economico italiano dopo un momento di forte crisi come quello generato dalla pandemia». Banca Generali ha a tal fine «costruito un contenitore – denominato BG4Real – che si propone come tramite tra risparmio privato ed economia reale e che ci ha concesso di supportare il percorso di crescita di alcune interessanti scale-up innovative, italiane e non solo». Inoltre non bisogna sottovalutare i vantaggi per i cosiddetti investitori industriali, cioè aziende mature e consolidate che puntano sulle start-up per «perseguire soprattutto obiettivi strategici di presidio e sviluppo di nuove tecnologie e/o nuovi modelli di business, accedendo a nuove competenze, idee e tecnologie all’esterno del perimetro aziendale». Un trend, questo, fortemente accelerato dalla pandemia, osserva Ameli.

La Calce, infine, ricorda che «una caratteristica dei mercati privati è l’ampia dispersione di risultati tra gestori diversi, ma anche la persistenza dei risultati; quindi è molto importante riuscire ad investire con i gestori migliori. Questo è un tema particolarmente rilevante nel VC dove esistono grosse differenze se si opera nell’early stage o nel growth e dove ci sono mercati, come quello americano, maturi e con player di assoluta eccellenza e mercati, e altri con uno stadio di sviluppo  diverso».


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